La solitudine è anche questione di geni. L’essere socievoli oppure schivi dipende in un certo modo anche da 15 varianti genetiche specifiche. A scoprirlo sono stati i ricercatori dell’UniversitĂ di Cambridge che hanno spiegato la loro ricerca su Nature Communications.
Lo studio
Grazie ad un’analisi condotta in Gran Bretagna su circa 500.000 volontari, coinvolti nel programma britannico Biobank, il gruppo guidato da John Perry ha scoperto che c’è anche un possibile fattore biologico alla base di quella solitudine patologica che impedisce ad alcune persone di riuscire a entrare in contatto con chi le circonda, pur desiderandolo.
I ricercatori hanno identificato 15 varianti genetiche associate all’isolamento sociale e altre invece in chi è piĂą socievole e frequenta palestre, pub, club o gruppi religiosi. “Ciò significa che non tutte le persone malate di depressione hanno questi geni, e che è anche per questo che gli stessi farmaci non funzionano su tutti i pazienti”, spiega Maurizio Pompili, professore di Psichiatria all’UniversitĂ Sapienza di Roma. “C’è un peso genetico su cui le terapie standard non funzionano. In altre parole – continua – non si può risolvere tutto con la terapia farmacologica o psicologica se ci sono queste basi genetiche. Se ne possono però gestire le conseguenze, aiutando queste persone, ad esempio, a migliorare la loro capacitĂ di risolvere i problemi a livello sociale e ridurre le difficoltĂ tipiche di chi ha queste difficoltĂ di socializzazione”.
Nello studio si è anche osservato un legame tra i chili di troppo, la solitudine e i sintomi depressivi. Un maggior indice di massa corporea renderebbe piĂą vulnerabili alla depressione e alle malattie cardiovascolari le persone con queste varianti genetiche della solitudine. “I risultati di questo studio – conclude Pompili – ci indirizzano sempre di piĂą verso una psichiatria di precisione, con terapie individualizzate”.